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ALLORCHÉ SE NE CONOSCE L’AUTORE...

Un’opera artistica è vista, ammirata, perfino goduta,
osservandola per quello che è: un oggetto capace
di sprigionare emozioni, suggestioni, stimoli.
Ciascuno risente dell’empatia che essa produce in base
alla propria sensibilità, alla cultura individuale, al gusto soggettivo.
La crisi di certa arte odierna, soprattutto se lontana dai circuiti commerciali,
non a caso risente di un progressivo e sempre più diffuso
decadimento di questi fattori, sia a livello dei singoli sia collettivo.

Personalmente trovo che un’opera d’arte sappia arricchire
ancor più chi vi si accosta allorché se ne conosce l’autore.
Non è una condizione necessaria, certo, ma un valore aggiunto,
perché il vissuto, il pensiero e le scelte di vita di chi ha concepito
e prodotto l’opera vi conferiscono un tratto peculiare.
Dopotutto in questo sta la differenza tra la creazione personale
e la produzione seriale: l’unicità e l’inimitabilità dell’essenza vera.

In questo specifico caso mi viene spontaneo evidenziare
quanto l’artista abbia plagiato il lavoro con la propria anima.
Un plagio benevolo del quale l’esserne consapevoli ci consente
di leggerne le scelte con un occhio di riguardo,
un po’ come l’avvicinare una lente d’ingrandimento su una mappa
permette di cogliere particolari altrimenti sfuggenti.

Il passato da gnomonista ha fatto la sua parte: a forza di dipingere
orologi solari, di restaurare motti allusivi al trascorre del tempo,
di elaborare meridiane che segnano il passaggio ciclico dalla luce
al buio e il successivo ritorno della prima,
l’artista ha elaborato dentro di sé l’importanza del divenire,
del ricambio perpetuo delle forme e della realtà.

Ciò gli ha permesso di rinnovare la sua personale inclinazione
al processo creativo, abbracciando e rielaborando una tecnica
capace di assimilare il vissuto pittorico con l’espressione letteraria.
Raffigurazione simbolica e parole si sono unite,
proprio come luce e ombra concorrono a segnare il trascorrere delle ore:
così l’arte si fa narrazione, mentre la suggestione meditativa
si ammanta di forme e di colore.

D’altronde è altresì l’attestazione di quanto il tracciato biografico
del monaco zen si sia incarnato nella realtà tangibile:
la conoscenza dello spirito incanalata nelle pennellate dello sfondo,
come i tratti precisi e curati delle lettere assurgono, a loro volta,
a trasposizione del pensiero orientale.
Il complesso delle opere, il riferimento a I KING - archetipo del mutamento -,
le meditazioni nel loro insieme, sono un invito alla riflessione.
Ma la loro natura, soltanto all’apparenza vincolata da un tracciato unitario,
si mantiene tale con la forza della singola parola e del singolo quadro,
proprio in virtù dell’amplesso tra arte e spirito.

Ecco dunque che la complessità del lavoro artistico d’insieme
si fa semplicità di riflessione, pure in ciascuno dei pannelli:
un’arte capace di frazionarsi perché completa di significato,
come il valore di ciascun individuo può ritenersi tale
in virtù della compartecipazione esistenziale con l’umanità tutta.

Luca Bedino




















luca bedino



18-11-2015
catalogo dell'esposizione SHODOKA